Friday, June 29, 2007

America...il sogno si realizza davvero




C è chi sogna cose grandi, chi sta sveglio per provare e c è chi il suo destino non lo vuole più seguire, così dice la canzone scritto sulla pelle, noi tre siamo nell’ ultimo gruppo, il nostro destino non lo seguiamo, lo costruiamo da soli, questo è stato il motto del nostro viaggio, questo è il motto della nostra vita.
Wall Mart, Tico Taco Bells, Pizza Hut, one double quarter meal with orange juice, the same, pull in the hand e mmm arriviamo, penso siano le parole che per tutta la vita non scorderò mai, sono state la colonna Sonora del nostro viaggio o precisamente della realizzazione del nostro più grande sogno, il rodeo in America.
Dopo mesi, anni di sogni, di speranze, voglia di andare, mercoledì 7 febbraio, il Presidente Stefano Baldon, il più volte campione Davide Carucci e io siamo partiti dall’ Italia con destinazione Atlanta, America. Quando sono arrivati i biglietti quasi non ci credevo che stavamo davvero per farlo, dopo tre anni che sogno di montare in America, ci sto andando veramente, il sogno prende forma. La partenza per me è stata un po’ tortuosa, lavorare a mille per avere le ferie, la paura di non esser all’ altezza della situazione e il mal di denti improvviso a poche ore prima della partenza non mi hanno fatto partire nel migliore dei modi, ma visto il fine del viaggio ero disposto veramente a tutto, ho stretto i denti e siamo partiti, non avrei mai rinunciato a quel viaggio nemmeno con un braccio rotto, figuriamo per un mal di denti. Non avevo mai preso l aereo, ma quello era l ultima cosa che avevo per la mente quando mi sono seduto sul seggiolino dell’ aereo, la mia testa fantasticava, sognava, cercavo di immaginarmi come fosse stato realmente al di la dell’ oceano, se la televisione rispecchiava la realtà o se saremo rimasti delusi da questa esperienza. L aereo parte…mi incolla al sedile, quello era il segnale che non si poteva più tornare indietro, e la cosa bella è che a nessuno di noi tre gli era mai balenata l idea di tirarsi indietro. Visto la quantità spropositata di antibiotici e antidolorifici che avevo preso prima del volo, mi sono addormentato come un pera cotta per quasi tutto il volo, mi svegliavo solo nei momenti del cibo, cioè ogni dieci minuti. Dopo dieci ore di volo atterriamo ad Atlanta. Scendiamo e andiamo al controllo immigrazione, il mio passaporto è ancora vergine, quello di Stefano e Davide è ormai pluritimbrato, loro due passano il controllo in un batter d occhio, io mi blocco al “ciao, come stai”, non riuscivo a capire niente di quello che il buon poliziotto mi diceva, ero storditissimo, tra antidolorifi e il fuso orario ero proprio fuso senza orario, sono stato un quarto d ora a rispondere a tutte le domande che mi faceva, senza capirci molto, ma alla fine mi ha fatto passare. Recuperiamo i nostri bagagli, adattati all’ usanza Americana e quindi king size, e cerchiamo di uscire dall’ aeroporto se non ci avessero fermato due energumeni con guanti neri che ci strappano le borse dalle mani e ci farfugliano qualcosa in Americano e noi ovviamente non capiamo ne perché ci hanno preso le valige ne, cosa più importante, dove le hanno portate. Chiediamo informazioni di dove potessero esser le nostre big bags, le recuperiamo e ci rendiamo conto di esser in un aeroporto mega galattico, aveva pure la metropolitana all’ interno e per farci un favore ci hanno spedito le valige direttamente all’ uscita dell’ aeroporto. Affittiamo la macchina, una signora macchina e iniziamo ad andare verso il paese della prima scuola. Era tutto enorme, autostrade a 6 corsie, concessionarie di auto giganti, bandiere Americane ad ogni angolo delle strade, pick up con ruote enormi, solo allora ci siamo resi conto che eravamo realmente in America!!! Da buoni Italiani d.o.c. ci “perdiamo” anche avendo il navigatore satellitare che parlava rigorosamente in Americano, e come tutti gli Americani, si mangiava le parole e a volte pure le strade. Ci fermiamo a mangiare in fast food, il primo della lunga serie della nostra permanenza, li vediamo una schiera di bibite alla spina che non immaginavamo nemmeno potessero esiste, li ordini il menù che vuoi, ti danno il panino, il bicchiere vuoto e poi ti servi sa solo fino alla nausea, in Italia, posti così fallirebbero dopo poco tempo, ma funziona tutto così, caffè e bibite a volontà.
Troviamo un motel per la notte, il mitico, pulitissimo e comodissimo motel 8, avevamo bisogno di recuperare un po di forze, il giorno dopo saremo andati in cerca del luogo della nostra scuola. Ero ancora un po’ intimorito da quello che stavamo per fare, montare tori e cavalli Americani non è cosa che capita proprio tutti i giorni ma in macchina Stefano mi guarda dallo specchietto retrovisore e mi dici: “Gobbo, stiamo scrivendo la storia, ricorda che quello che fai per te morirà con te, quello che fai per gli altri vivrà per sempre”. Una scossa di adrenalina mi ha trapassato le vene, mi ha dato una carica che non si può immaginare, ero molto più tranquillo, ero li per imparare qualcosa da tramandare a tutti i nostri amici che sono rimasti in Italia, ero li per quello, e la mia mente era diventata una spugna per nuove nozioni. Ci spostiamo verso il paese della prima scuola, le strade immense facevano da contorno, i paesaggi erano delle colline verdissime che sembravano non finire mai, ogni tanto si vedeva qualche pezzo di recinto e qualche cuttel drive, in lontananze un mare di angus facevano da padroni di casa di questi immensi pascoli verdi, come in Germania, Baldon si eccitava guardano queste praterie immense uscendosene con le sue tipiche frasi da “pascolo”: “mischia che pascoli!!!!!!!” seppur amici, tra noi c era ancora un po’ di “timidezza”, finche io e Davide non andiamo alla ricerca di qualche motel più vicino alla scuola, premetto che Davide e l Americano sono come le verze a merenda, non centrano niente, entrava farfugliando qualcosa in non so che lingua e i tizi dei motel gli davano pure corda, li abbiamo iniziato una serie di risate che non finiscono più, ancora adesso a distanza di un mese ci guardiamo in faccia, una parola magica e scoppiamo a ridere come tre pazzi. Il freddo non cessava, anzi, sembrava ce l avesse proprio con noi, c era una media di meno 5 gradi centigradi, ma ne noi ne gli altri 58 ragazzi che facevano la scuola con noi non si sono fatti scoraggiare e ci presentiamo alla check in della scuola. Conosciamo finalmente Mr. Sankey, una persona sulla cinquantina con un po’, ma assolutamente non conforme allo standard Americano, di pancia che sinceramente non avrei mai detto avesse un curriculum di rodeo così vasto e assortito di ogni genere di specialità e risultati. Ci presentiamo e ci spiega bene o quasi come funziona la sua scuola e noi cerchiamo di adattarci nel migliore dei modi. Stefano e Davide facevano la scuola di bareback bronc riding e io invece bullriding. Inizia la scuola e ci spiegano bene le varie attrezzature e i modi di usarle, quasi completamente diverse dal nostro stile, ma molto utili ed efficaci nel lato pratico delle monte, poca teorica e poi via di pratica, finalmente si montava, finalmente si faceva sul serio. In bullriding eravano una trentina, in bareback una quindicina e il resto diviso tra saddle bronc e bullfighter. Iniziamo noi bull riders, quindi mi preparo e aspetto il mio turno di monta, non avevo emozioni, ero di ghiaccio, tutto quel che avevo pensato fino ad allora era svanito nel nulla, dopo le parole di Stefano era cambiato tutto. Il sogno era ad un millimetro dal realizzarsi. Mi assegnano il toro, mi preparo, metto la mia bull rope sulla sua groppa e aspetto l ok degl’ istruttori, con la coda dell’ occhio vedo Stefano e Davide a bordo arena che aspettano la mia uscita, loro hanno già montato in America, io sono ancora all’ inizio della mia carriera,ci tenevo molto a non esser solo in quel momento e sapendo che loro erano li vicino mi ha dato carica. Ok, il toro pronto, io pure, si aprono le danze. Il toro esce sgoppando, scodava a destra e a sinistra, io sopra, al limite del tempo con una girata secca mi butta a terra, ero l uomo più felice della terra, all’ inizio mi sono pure arrabbiato per la monta, secondo me non era andata così bene come diceva il mio istruttore C.J., mi ha fatto i complimenti come i miei due soci di viaggio, non ne sono stato convinto finche non abbiamo visto il filmato, poi ho cambiato radicalmente idea. Era il turno di Stefano e Davide, dentro di me pregavo che facessero bene, meglio di come avevo fatto io, al limite delle loro possibilità, hanno le carte per farsi valere anche oltre oceano, e l hanno dimostrato a tutti, tanto alla fine della scuola gli istruttori iniziano a parlare e iniziamo a capire che parlavano uno di loro due, parlavano di un Italiano che anche se non riusciva a capire bene cosa gli dicevano, ce la metteva tutta per imparare, li ho acceso la macchina fotografica, non potevo perdermi un momento memorabile come quello, alla fine premiano come miglior studente della scuola Stefano Baldon, e ti pareva che il Baldon non andava a vincere qualcosa. Ero fiero per lui, ero fiero di esser Italiano, tre ragazzi Italiani che vanno in America e uno vince pure un premio, nemmeno nei miei sogni era cosi bello. Finita la scuola avevamo una settimana di dolce far nulla, per riprenderci dai colpi presi durante la scuola, che di certo non sono mancati, anzi, ne avevamo da vendere. Ci spostiamo di paese o meglio, ci spostiamo di stato. Arriviamo a Kansas City, direzione Fort Scott, atterriamo appena dopo una bufera di neve, il freddo ci tormentava, la calza maglia alla pippo che avevamo preso in un Wall Mart, uno dei tanti che abbiamo visitato, non bastava più, c erano meno 15 gradi, ghiaccio ovunque, il freddo era ancora più freddo, rimpiangevamo Atlanta, rimpiangevamo fin il motel squallido dov’ eravamo stati prima di partire per il Kansas, un motel che sembrava uscito da un film poliziesco, aveva qualche stanza chiusa con una catena e un lucchetto, lenzuola e bagni che facevano venire i brividi anche a Dario Argento, ogni tanto sbucavano fuori da qualche angolo dei tizi che non avevano l aria dei chierichetti e noi per non saper ne legger ne scrivere ce ne stavamo tranquilli in camera, anche perché come attrazioni turistiche non c era un granche, solo una sera siamo usciti io e Davide a cercar qualche anima viva in quel paese desolato, Stefano era rimasto raggomitolato a letto come al suo solito, per lui sembrava che il fuso orario non ci fosse stato, alle cinque del pomeggio, quindi dopo cena, dormiva e alle due di notte gironzolava già per la stanza con il cellulare in mano e asciugamano attorno alla vita, una tortura unica per noi che dormivamo sonni tranquilli, o per lo meno, visto il posto, dormivamo sonni e basta. In mezzo al freddo di Fort scott troviamo l Arnold arena, dove avremmo dovuto fare la seconda scuola. Fortunatamente la troviamo quasi subito e ancora più fortunatamente quella sera siamo riusciti a vedere dei practice di bareback bronc riding. Conosciamo subito una signora gentilissima del posto, moglie del coach di saddle bronc, che ci indica un tizio, un tizio piccoletto, un po strano, con su degli stivali che non sapevano da che parte erano voltati, in più quando i ragazzi montavano sembrava indemoniato, correva praticamente al fianco del cavallo che sgroppava per incitare i ragazzi, era fuori di testa, sembrava pazzo. Indicando questo piccoletto ci dice che è l aiuto coach del marito e che aveva vinto una gold bukle chissà dove e chissa quando non lo sapeva, ma ci dice il nome, un certo Collins, a quelle parole a Stefano si illuminano gli occhi, e sorpreso ci guarda e dice che quel tizio è il campione del mondo in bareback del 2001; Stefano e Davide dovevano fare la scuola con me in bullriding, ma da quando ha sentito che era presente il campione del mondo, Stefano inizia un tour de force nei confronti della nostra pazienza facendosi mille paranoie sulla decisione di fare la scuola di bullriding o meno, questo nei due giorni prima della scuola. Arrivati al check in della scuola chiediamo chi fosse l istruttore in bareback e quando ci rispondono che era il campione, Stefano quasi non voleva farla, l avrei ucciso, dopo tutte quelle paranoie, adesso che aveva la possibilità, non voleva cambiare, sotto le miei più infime minacce, decide di far la scuola con il campione, e non se ne è pentito; non siamo riusciti a vedere le sue monte, ma da come dice Stefano, gli è servita parecchio per migliorarsi. Io e Davide continuiamo la nostra scuola, tra una mia traduzione e l altra, è ora di montare. Da dietro le chute i tori facevano quasi paura, anzi, facevano paura. Chi più piano, chi più veloce, spinnavano quasi tutti, Davide non si scoraggia e fa una bella monta, io passo al secondo giorno. Il giorno dopo riprendo le monte, anche qui eravamo una sessantina di ragazzi, bravi ragazzi tranne qualche banfone, è proprio vero che ogni mondo è paese. Non avevamo mai visto così tante monte tranne che in tv e noi eravamo proprio li in mezzo. Davide rimonta con dei buoni risultati anche il secondo giorno, io mi scelgo un toro e ci metto la mia bull rope sopra, Davide chiede informazioni sul mio toro allo stock contractor il quale gli risponde il mio toro non spinna fa “rolling”, andiamo bene, io che non ho ancora molta dimestichezza sui tori che spinnano, mi sono preso una bella gatta da pelare ma lo monto lo stesso. Devo dire che in America se non ho imparato a montare i tori per lo meno ho imparato diversi balli da fare con loro, più precisamente ho imparato il tango, la mazurca, la baciata e il ballo del qua qua, il problema è che io non facevo ne l uomo ne la donna, facevo la pista da ballo. caduto da questo toro che “rollava”, si era incazxxxo così tanto che ha iniziato ad incornarmi, sarà stato con le corna su di me almeno dieci secondi, che dal mio punto di vista sono stati i secondi più lunghi del mondo. Il giorno dopo non sapevo più da che parte zoppicare, balla a Summerville e balla a Fort Scott, le mie ginocchia non sapevano più come far a reggermi e vista la situazione fisica dei miei due compagni di viaggio, abbiamo deciso di godergi l ultimo go della scuola in santa pace sulle tribune, tra un acciaccato e l'altro. Alla fine della scuola gli istruttori e in particolare Mr. Sankey ci han fatto i complimenti e noi ne andiamo fieri, vuol dire che in Italia stiamo lavorando bene e che siamo sulla strada giusta.
Questa è la storia di un sogno realizzato, ci sarebbero tanti aneddoti da svelare, ma forse è meglio che me li tengo stretti al cuore perché da li so che non scapperanno mai come i compagni di viaggio, perché è anche grazie a loro che sono riuscito in un impresa simile, una cosa sono sicuro di averla imparata e sono altresì sicuro che cercherò di divulgarla a tutti coloro che conoscerò in futuro, se una persona ha un sogno deve lottare in tutti i modi possibili per realizzarlo, magari non riesce subito, ma se insiste ce la farà, se ce l abbiamo fatta noi tre ce la possono fare anche tutti gli altri, qualsiasi sogno sia.
Grazie Stefano, grazie a Davide
God bless

Andrea “Robogobbo” Gobbato
I. R.C.A. 2007